Una conversazione con Renato Kizito Sesana su popoli in movimento tra Africa e Europa.
In genere, quando è possibile, quando c’è il tempo, prima di iniziare un intervista, leggo qualche nota biografica sul personaggio che devo intervistare, e se esiste, qualche suo scritto.
Di padre Kizito esistono molti libri, relazioni dettagliate del suo impegno lungo 45 anni.
Tra i suoi libri ho scelto uno degli ultimi:”Tutti i cuori del mondo” Piccole storie di Periferia, Pubblicato da EMI.
Un bellissimo taccuino dell’anima, con appunti brevissimi, in cui Padre Kizito lascia intravvedere le vite dei bambini, di famiglie e di sconosciuti eroi del nostro tempo, eroi e bambini che corrono via tra le pagine del libro, un libro scritto durante quella corsa , un libro che si legge di un fiato, e che lascia il bisogno di approfondire le storie, di intervenire, di ritrovare quel senso della solidarietà che giace in fondo alla borsa di ogni essere umano.
Secondo me questo libro, da solo, potrebbe sostituire i testi di religione per chi sceglie questa materia alle scuole Primarie e medie.
Il Vangelo testimoniato nelle opere di oggi e l’esempio , la pratica della solidarietà, da sempre, sono più assimilabili delle spiegazioni teologiche, per quanto “friendly”, del catechismo per i bambini.
Ho incontrato Padre Kizito a Pistoia, durante i dialoghi sull’uomo a Maggio 2015, prima di una sua conferenza.
Ci è stata messa a disposizione l’antica Cappella di Sant’Agata , nel palazzo di Giano, antica sede del consiglio comunale, ancora adibito allo stesso uso 800 anni dopo…
Con la sua disarmante semplicità padre Kizito è riuscito a trasformare la mia lista di domande, in una conversazione, quasi in uno scambio di opinioni, perciò ho molte difficoltà a definire intervista la trascrizione del dialogo che state per leggere.
A Tirana nella stessa strada, a pochi metri di distanza l’una dall’altra, è possibile vedere moschee, sinagoghe e chiese Cristiane.
I fedeli delle tre confessioni sono spesso imparentati tra di loro, ciascuno partecipa alle feste dell’altro.
Un esempio di convivenza tra fedi, che non ha bisogno di interpretazioni,
Da noi anche se di fatto la scusa è quella di condannare i razzismi, sembra che la politica soffi sul fuoco delle conflittualità, alimentandole se non addirittura creandole, lei cosa ne pensa?
Si, sono convinto che la gente semplice , normale, è disposta a vivere insieme nonostante la diversità di fede.
Ancora di più in Africa, perchè la cultura tradizionale Africana è una cultura di accoglienza, di Pace, di convivenza e si rispetta chiunque parli di Dio.
Io non ho la presunzione di ritenermi un esperto , riporto quello che vedo in giro per l’Africa, ad esempio l’Islam si è diffuso in Africa distruggendo altri luoghi di fede (in sud Sudan ad esempio si stanno riscoprendo adesso i resti di chiese di prima dell’anno mille) ma a parte questo, diffondendosi in Africa si è pian piano uniformato alla tradizione Africana, accettando di convivere con le altre religioni. Abbiamo l’esempio degli amici Senegalesi, un paese a maggioranza Musulmana, dove i Cristiani vivono serenamente perfettamente integrati, addirittura il primo presidente di quel paese, Léopold Sédar Senghor, era Cristiano.
Va bene, ma seguendo questo filo, per quale motivo in Nigeria si è sviluppato il movimento jihadista Boko Haram?
Io sono convinto che è stato portato da fuori. C’è la volonta di dividere e di usare la religione per scopi che nulla hanno a che fare con la fede, ragioni di potere economico.
Lo stesso ho visto accadere in Kenia, a Kibera, dove noi siamo presenti. A Nairobi i musulmani sono pochi ma Kibera (uno Slum, una baraccopoli periferica N.D.A.), ospita la loro più alta concentrazione nella zona.
Noi abbiamo li una casa, alcuni dei bambini sono Musulmani e conviviamo senza nessun problema.
Quindi noi stiamo li senza alcun problema. La gente accoglie.
Io ero in Kenia quando c’è stata la strage alla Garissa University, si dice che sono stati scelti i Cristiani come vittime. Non è del tutto vero, i terroristi appena entrati hanno ammazzato a caso, uccidendo chi gli si parava davanti, e quindi anche diversi Musulmani.
Hanno discriminato i Cristiani quando hanno assunto il controllo della situazione, allora hanno potuto gestire, per così dire, la cosa, come avevano progettato di fare.
La reazione dei Kenyani, della maggior parte dei Kenyani, Cristiani e Musulmani, non è stata una reazione di Rabbia, di Violenza o di odio contro i musulmani, la reazione è stata molto matura.
Mi auguro che non debba mai accadere un episodio del genere in Italia, ma se disgraziatamente dovesse succedere penso che la reazione sarebbe molto brutale, istintiva, sciocca.
Nei kenyani Cristiani, anche tra i parenti di chi è stato ucciso, gente che ho incontrato o di cui ho sentito la testimonianza in interviste, non c’è mai accenno alla vendetta.
Dicono: “Si, questi hanno fatto una cosa terribile, orribile, hanno ucciso mio figlio”, magari non sono capaci di perdonare, ma non vogliono vendette, non vogliono che questo grave episodio serva a scatenare una guerra, una reazione violenta contro gli altri.
Una dimostrazione di appartenenza ad uno schema di pensiero maturo e civile.
Non c’e’ stato nessuno che abbia voluto una vendetta, contro gli Islamici in modo generico; questo non significa che, se le cose dovessero continuare in questo senso, la pazienza e la loro capacità di mantenere la calma possono essere infinite…
Questo è ciò che vogliono i terroristi, scardinare con la violenza gli equilibri della convivenza civile.
Ma anche la gente sa che quello è il loro obbiettivo.
Lo capiscono in Africa, ma non lo capiamo in Italia…
Questa è una cosa che mi sconvolge, quando sento certe reazioni, certi commenti, quando sento questa incapacità di distinguere tra quello che conviene fare per isolare questi casi da quello che li alimenta..
Il problema principale è che nessuna voce fornisce spiegazioni logiche e corrette, qui da noi, vengono solo forniti spunti per accentuare la conflittualità e le divisioni, la politica sceglie questa o l’altra fazione e crea il conflitto, dove sarebbe opportuno invece soffocarne i primi sintomi. Dividendo la gente si crea la possibilità di controllarla con più facilità.
Ma Proviamo ad immaginare un utopia: questi problemi non esistono più, e noi torniamo ad avere la possibilità di accogliere i movimenti migratori. Come del resto è sempre accaduto, da secoli. L’italia è la banchina d’attracco naturale al centro del Mediterraneo, e quindi tutto ciò che è successo continua a succedere… però in Europa i modelli culturali si radicalizzano in modelli economici, mentre chi arriva viene dalla cultura dei rapporti umani di cui lei ha parlato.
Come due modelli culturali cosi estremi possono condividere uno stesso territorio, secondo la sua esperienza? Dato che conosce entrambi i modi di pensare, come si può far capire, che chi arriva oggi è sempre arrivato, e che noi stessi siamo figli di questi arrivi?
Questo è difficile, io non so come si potrebbe fare… le risposte che mi vengono sono risposte che esigono un impegno da parte di tutti, e quello che manca, quello che non vedo è proprio l’impegno.
La volontà di incontrare gli altri, capire che andare verso gli altri è un arricchimento per noi come per loro…
Per dirle, a me piacerebbe poter fare l’esperimento che a me è capitato di vivere tre mesi fa.
A Verona accanto alle nostre case dei Comboniani, a circa 200 metri, abbiamo l’ostello della gioventù, dove il comune di Verona ha messo una sessantina di persone, sbarcate l’hanno scorso dai barconi.
Sono quasi tutti rifugiati del Mali.
Ne ho parlato con un mediatore culturale originario del Togo e sposato con un Italiana, gli ho detto parlando che avevo avuto modo di conoscere Amadou Hampate Ba.
Amadou era un Maliano che è diventato famoso per quello che ha scritto, un intellettuale che ha lavorato all’UNESCO, autore anche di una frase che chi conosce l’Africa ha sentito mille volte: “Ogni vecchio che muore in Africa, è come una biblioteca che va a fuoco”. Già dagli anni sessanta lui aveva propugnato l’esigenza di raccogliere le tradizioni orali.
Tra l’altro lui era stato discepolo di un grande Sufi, Tierno Bokar, raccogliendone gli insegnamenti.
Parliamo di una specie di San Francesco d’Africa, di un San Francesco Sufi.
Amadou ha pubblicato un libro che è stato tradotto anche in Italiano: “il saggio di Bandiagara” in cui cita gli insegnamenti di Bokar. Io ho conosciuto Amadou Hampate Ba, perchè noi abbiamo pubblicato alcuni dei suoi libri tradotti in Italiano negli anni settanta, ed era una persona squisita, straordinaria.
Lo andai a trovare in Costa D’Avorio, e arrivato davanti alla sua casa, vidi questo vecchio che pregava con un rosario musulmano, sua moglie mi disse di aspettare la fine della preghiera. Era un uomo molto ospitale, mi trattava come un fratello, mi chiamava fratello, anche se aveva cinquant’anni più di me.
Nel libro “Il saggio di Bandiagara” racconta di quando era ragazzino; essendo bravo a scuola, i suoi decidono di mandarlo ad Abidjan, La madre lo accompagna al fiume dove c’era la piroga con cui doveva andare ad Abidjan.
All’ultimo minuto prima di salire sulla piroga , viene fermato da sua madre che gli dice: ” Figlio mio, adesso devi affrontare la vita da solo, mi raccomando, prega tutti i giorni, mi raccomando fai l’elemosina, ma non far vedere dove tieni i soldi, perchè qualcuno te li potrebbe rubare”
Tutte le raccomandazioni che qualunque madre farebbe al proprio figlio in un contesto del genere.
Una volta noi abbiamo preso questi ragazzi immigrati a Verona, e gli abbiamo letto, in francese questa pagina e gli abbiamo chiesto : “A voi cosa ha detto vostra mamma o vostro papà, quando siete partiti?”
Sono venute fuori delle cose bellissime, si bellissime. e siamo diventati amici perchè lì, viene fuori l’umanità di queste persone.
Bisognerebbe riuscire a parlarci così.
Se riuscisse ad ascoltare senza interrompere, anche Salvini magari riuscirebbe a capire…
A me però fa più paura chi fa finta di capire, chi si schiera per convenienza e senza grande convinzione dalla parte giusta e schierandosi esaurisce il proprio senso del dovere, senza fare in pratica nulla….
Io credo che in Europa si stia perdendo il senso della realtà: ci apriamo ai mercati del mondo ma ci chiudiamo al mondo, rischiamo di perdere occasioni di crescita.
Se non l’abbiamo già persa l’occasione…. Noi ci opponiamo all’immigrazione ma intanto pare che con la nostra denatalità abbiamo raggiunto un punto di non ritorno. Stiamo morendo. Tra cinquant’anni gli Italiani quasi non esisteranno più,
Noi abbiamo la certezza granitica che il nostro sia un livello di civiltà inarrivabile, il più alto possibile, e pensiamo che gli altri non debbano far altro che aspirare, pian piano ad elevarsi fino a questo livello…
Speriamo di no, che non lo facciano…
Il razzismo è proprio questo, la convinzione di essere noi, la massima espressione del genere umano.
Già, gli schemi… i problemi li inventiamo noi e li creiamo anche agli altri…
A me è accaduto 20 anni fa a Pontedera un episodio: cercavo di fare capire ai ragazzi che erano li che tutto dipende dalla nostra visione del mondo.
C’era stranamente una presenza di 4 o 5 Africani a quell’incontro, stranamente per l’epoca…
e uno, con grande semplicità si alza e dice : “E’ vero ! Io ho scoperto di essere povero quando sono venuto in Italia, prima non sapevo di essere povero”.
Quando tornerà in Africa?
Presto..
Scommetto che non vede l’ora..
Non vedo l’ora…
La chiaccherata con Padre Kizito finisce qui…
Mi resta la voglia di scoprire la vera realizzazione di quest’uomo: di vederne il risultato filtrato dai sorrisi e dagli sguardi dei bambini di Koinonia, piccoli mattoncini di una grande costruzione…
Spero di riuscire un giorno a vedere una di quelle case, e a descriverne la bellezza, come fa questo padre Comboniano, quando ne parla e ne scrive…
Note Biografiche
Padre Renato Sesana Nato nel 1943, è Missionario in Africa dal 1977. E’ stato direttore di “Nigrizia”, si è laureato in scienze politiche con una tesi sui neri Americani, all’università di Padova.
in Zambia fonda Koinonia, una comunità che accoglie bambini di strada.
Dal 1988 vive a Nairobi dove fonda “New people” la rivista comboniana per l’africa Anglofona, tutt’ora una tra le più diffuse, nel continente nero.
Nel 1991 fonda anche a Nairobi la comunità Koinonia: ne fanno parte ad oggi una Cinquantina di persone, in alcuni casi portando con loro la propria famiglia, impegnati nel campo dell’assistenza ai bambini di strada, sviluppo, microcredito ed educazione alla pace.
Le comunità Koinonia sono aumentate di numero negli anni, una è attiva sui monti Nuba del Sudan ed ha continuato l’impegno per i bambini di strada, altri centri sono a Nairobi e Lusaka.
Padre Kizito è anche socio fondatore dell’ONG Amani ONLUS.
Nei primi anni 70 aveva assunto il nome di Kizito, lo stesso nome del più piccolo dei martiri dell’Uganda, proclamati beati da Paolo VI.